SETTIMANA SANTA

SETTIMANA SANTA

La Settimana Autentica (Santa) nel rito ambrosiano

Negli antichi documenti della liturgia ambrosiana la settimana santa è chiamata curiosamente settimana «autentica», quasi a voler dire che è la «vera» settimana dell’anno liturgico, la settimana eminente fra tutte le altre, proprio perché in essa il credente è chiamato a ripercorrere il mistero pasquale di Cristo che per la nostra salvezza soffre, muore e risorge.

Le celebrazioni liturgiche della settimana santa non sono la semplice ripresentazione cronachistica di quanto è avvenuto nella prima settimana santa di duemila anni fa. E non sono neppure il ricordo psicologico e nostalgico di fatti irrimediabilmente congelati nel passato, senza che abbiano attinenza alcuna con il nostro presente.

Attraverso la celebrazione liturgica, infatti, gli eventi commemorati (la passione, morte e risurrezione del Signore) si rendono presenti nell’oggi e la loro efficacia salvifica si fa per noi attuale. E così i credenti sono chiamati annualmente a fare esperienza della redenzione, partecipando ai sacramenti che trovano nella pasqua di Cristo la loro origine fontale.

Dunque protagonista unico e assoluto della settimana santa è Cristo Signore. Ma chi ne celebra la commemorazione liturgica, per attingere alle sorgenti della salvezza, è la sua Chiesa. Potremmo chiederci, da questo punto di vista, di quale natura sia il rapporto che lega questi due soggetti (Cristo e la Chiesa) nella prospettiva specifica della liturgia che si celebra nei giorni della settimana santa.

Si potrebbero dare, a questo proposito, molte risposte. Ma forse ve n’è una che in modo particolare può essere considerata la più ricca ed esaustiva dal punto di vista spirituale e liturgico: il cosiddetto rapporto sponsale. Infatti, per usare un’espressione che da san Paolo (Ef 5,25-27) attraverserà tutta la tradizione cristiana, Cristo è lo Sposo della Chiesa; e la Chiesa ne è dunque la Sposa.

E questo è un tratto peculiare della settimana santa ambrosiana; o meglio, è la prospettiva peculiare secondo la quale la Chiesa ambrosiana rivive nella liturgia i fatti della pasqua di Cristo.

In effetti, un cronista si accontenterebbe di ripercorrere e ricostruire la cronologia dei fatti capitati a Gesù di Nazaret negli ultimi giorni della sua vita terrena. E, con ogni probabilità, riuscirebbe a fare tanto meglio il proprio mestiere, quanto più fosse in grado di offrirci una ricostruzione asettica, imparziale, gelidamente obiettiva di quanto è accaduto.

Ma la liturgia non è cronaca. Chi infatti, attraverso la celebrazione liturgica, ripercorre le tappe cronologiche di quei giorni cruciali è per l’appunto la Chiesa, cioè la Sposa, che rivive con emozione, coinvolgimento e tensione gli ultimi giorni della vita terrena del proprio Sposo, Gesù Cristo. È proprio questa prospettiva che permette di interpretare correttamente alcune caratteristiche tipiche della liturgia ambrosiana del triduo pasquale. E nel contempo questa stessa prospettiva educa i fedeli a vivere le celebrazioni della settimana santa non come spettatori di una sacra rappresentazione, ma, in quanto membra vive della Chiesa, come protagonisti di un dramma che li coinvolge direttamente, anche dal punto di vista emotivo.

E così – solo per fare una rapida sintesi delle principali celebrazioni del triduo pasquale – nella messa del giovedì santo sera la Chiesa Sposa è chiamata a condividere la notte dell’eucaristia, dell’agonia, del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro, attenta a non farsi coinvolgere «nelle tenebre del discepolo infedele».

Al venerdì santo la Sposa accompagna il suo Signore fino al Calvario, ne contempla la morte salvifica ed entra in una specie di lutto, di “stato di vedovanza”, facendo l’esperienza bruciante della perdita del proprio Sposo: l’assenza della comunione eucaristica in questo giorno – come diceva l’arcivescovo Montini – fa percepire ai fedeli in qualche modo «la perdita del Dio vivo», rasentando «il confine dello spavento e della disperazione».

Ma la Chiesa non è vedova disperata, è Sposa fedele e fiduciosa: e infatti, sorretta dalla speranza e dalla Parola di Dio, nella veglia pasquale ritrova Cristo Signore risorto, e fa esperienza della sua potenza salvifica attraverso i sacramenti del battesimo e dell’eucaristia. Giustamente – come diceva un antico autore dei primi secoli cristiani – la notta di pasqua è la “notte ninfagoga”, la notte che, dopo i giorni della passione e del lutto, fa reincontrare nella gioia pasquale lo Sposo e lo Sposa.

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La riflessione del cardinale Angelo Scola sulla Settimana Santa, detta «Autentica» dalla liturgia ambrosiana.

Con la Domenica delle Palme, introdotta dalla solenne processione, la Chiesa ci conduce sulla soglia della più importante settimana dell’anno, quella che la nostra liturgia ambrosiana chiama “Settimana Autentica”. Un’attribuzione tutt’altro che scontata. Immediatamente con l’aggettivo “autentico” noi identifichiamo la piena verità di una cosa. Infatti in questa che è la settimana per eccellenza la Chiesa ci fa celebrare Gesù Cristo passo, morto e risorto come la verità della nostra esistenza. Una verità tanto sconvolgente quanto liberante: il prezzo della salvezza di ciascuno di noi è il sangue del Figlio di Dio così che, alla fine, ogni vita trova il suo valore nel Figlio di Dio incarnato; nulla di essa va perduto perché tutto è abbracciato dalla misericordia del Padre. Tutto è caricato sulle spalle di Suo Figlio, crocifisso sul palo ignominioso della Croce per risorgere a nuova vita la mattina di Pasqua.

«Cos’è la verità?» (Quid est veritas?). Come capì acutamente Sant’Agostino, in questa domanda che alberga nel cuore di ogni uomo, è inscritta la compiuta risposta: «La Verità è l’uomo presente» (Vir qui adest). La verità della vita non è un’idea o un insieme di dottrine né di precetti; non un sentimento, né un insieme di emozioni o sensazioni; non è un sistema di pensiero. La verità dell’esistenza – della tua e della mia, come quella di tutti gli uomini – è quest’Uomo, il Figlio di Dio, che si lascia inchiodare per amore sulla Croce e risorge vittorioso per donarci una vita nuova e per sempre.

Perché, allora, il nostro rito ambrosiano non traduce la tradizionale espressione “Settimana Santa” con “Settimana Vera”, ma usa l’aggettivo “Autentica”? Forse l’etimologia di questa parola ci può offrire la chiave per trovare una risposta. Essa deriva dal verbo greco authentèo, che esprime l’idea di “avere” autorità. Introduce perciò una sfumatura in più. “Autentico” dice la verità di una cosa in quanto diventa “criterio” del nostro guardare e trattare la realtà. Così celebrare i giorni della passione, morte e risurrezione di Gesù significa riconoscere che “il criterio” della nostra vita è quest’Uomo, il Crocifisso Risorto, che ci viene quotidianamente incontro.

La liturgia ambrosiana ci farà accompagnare Gesù in tutti i passaggi della sua Pasqua seguendone con precisione la scansione cronologica: dall’ingresso glorioso in Gerusalemme, all’Ultima Cena, alla preghiera nell’Orto degli Ulivi, la cattura, il processo, la via crucis, la crocifissione e le beffe, la morte, la deposizione, il silenzio del sepolcro… fino ad arrivare alla gloria della Risurrezione e del Suo “apparire”, pienamente libero, alle donne e ai discepoli. Gesù Crocifisso e Risorto, infatti, non può diventare criterio della nostra vita se non attraverso la comunione con Lui. Occorre seguirlo, sostare insieme a Lui, accompagnarlo, condividere la sua pasqua. Esperienza che, vissuta nella comunità cristiana, la liturgia rende concretamente possibile.

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IL TRIDUO PASQUALE AMBROSIANO

Letture bibliche conservatesi inalterate lungo i secoli, testi eucologici, tra i quali due anafore peculiari, insieme a elementi non verbali consentono di riconoscere nel Triduo ambrosiano la sedimentazione di un’articolata comprensione del significato della Pasqua, che attinge alla riflessione patristica, risalendo fino ai primi secoli del cristianesimo.

La santa messa vespertina “nella cena del Signore”, caratterizzata da un ordinamento tipicamente vigiliare, costituisce il solenne ingresso nel primo giorno del Triduo pasquale, dedicato alla commemorazione della morte del Signore e chiuso con la celebrazione della sua sepoltura. Al tramonto del giovedì della “settimana autentica” si compie quello che può essere definito il primo atto dell’annuale memoria della passione. Gesù si consegna ai suoi nel dono inestimabile dell’eucaristia, mentre è consegnato da Giuda ai nemici e tradito da Pietro. A scandire il susseguirsi degli eventi rivissuti nelle celebrazioni è la proclamazione della passione secondo Matteo in progressione cronologica, secondo l’antico uso gerosolimitano.

Nel venerdì santo la Chiesa milanese contempla Cristo che si offre vittima al Padre per liberare tutta l’umanità dal peccato e dalla morte; nella solenne azione liturgica, generalmente pomeridiana, si pone in ascolto delle profezie di Isaia e del loro compimento neotestamentario, adora la croce e intercede per tutte le necessità, sperimentando nella privazione della comunione l’assenza dello Sposo. Nelle ore serali rivive poi la sua deposizione nel sepolcro.

L’analisi dettagliata dei diversi elementi rituali, nel loro sviluppo storico e nel loro significato teologico, mette in luce come nella Veglia pasquale ambrosiana si generi una tensione verso il momento in cui il triplice annuncio della risurrezione e la celebrazione dell’eucaristia restituiscono ai fedeli la gioia della presenza del Vivente.

Pubblicato il 23 Marzo 2024


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