SCRITTURA E PREGHIERA: LA LECTIO DIVINA
di Carlo Maria Martini
L’ascolto di Dio, da parte del cristiano, significa in concreto l’ascolto della Parola contenuta nella Bibbia. Il contatto con questa Parola scritta porta, infatti, a una ricchezza di vita inaspettata. A me, che leggo la Scrittura da circa cinquant’anni, essa appare ogni volta così nuova da destarmi stupore e da creare quello shock dell’intelligenza e dell’emozione che suscita il senso dei valori umani e che mette a contatto con i valori stessi di Dio.
Diceva san Girolamo, e la Costituzione conciliare lo cita: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo».
Sono allora indispensabili dei mezzi concreti con cui il cristiano riesca ad accostarsi ai testi della Scrittura, al Nuovo Testamento in modo da confrontarli realisticamente con la sua esistenza.
Tra questi mezzi o metodi concreti, suggerisco quello patristico della lectio divina, chiamata “divina” appunto perché consiste nella lettura e nell’ ascolto di un passo della Bibbia.
Tale “lectio divina” comprende alcuni gradini – lectio, meditatio, oratio o contemplatio – che, per maggiore utilità, sono solito allargare a sette aggiungendone quattro: consolatio, discretio, deliberatio, actio.
LECTIO (lettura)
La lectio è il momento in cui si legge e rilegge una pagina dell’Antico o del Nuovo Testamento mettendone in rilievo gli elementi portanti. E’ un atteggiamento dinamico, è lo sforzo di cogliere, nel testo, i rilievi in modo che da “pianura” diventi un “panorama di montagna” con alcune parti in luce e altre in ombra. Sottolineando i verbi, i soggetti, gli oggetti i vari elementi acquistano valore insospettato. La lectio, nel quadro in cui noi la consideriamo, non è fine a se stessa ma si apre alla meditatio: va dunque fatta ogni volta per quel tanto che serve a passare oltre. Non così poco che la meditatio sia sterile e non così tanto da impedirne il dinamismo.
MEDITATIO (meditazione)
La meditatio è la riflessione sui valori del testo, soprattutto sui valori permanenti. È un secondo modo di accostare il brano: non più per considerazione analitica dei soggetti, degli oggetti, dei simboli, dei movimenti interni ed esterni, ma dei valori che il testo veicola e porta con sé.
La meditatio va fatta con la mente e anche con l’affetto perché spesso i valori sono ricchi di risonanze, di sentimenti. Comporta il superamento della quantità verso la qualità, il superamento delle forme esteriori, delle, figure geometriche e sintattiche verso i loro contenuti, ed è quindi un passaggio importante. Quali valori esprime Gesù con questo modo di essere? Quali valori esprime Paolo e come posso fare per farli miei?
Il mondo della meditatio è molto vario perché l’uomo si confronta dall’interno con la Parola e ne fa modello, proposta, regola di vita. C’è tuttavia un rischio ed è quello di prolungare la meditatio all’infinito, compiacendosi di aver capito i valori del testo, di averli ordinati e collegati con la propria vita. Il rischio è di credere di vivere quei valori semplicemente perché si è riusciti a coglierli bene, bloccando così il processo dinamico della preghiera e cadendo nell’autocompiacimento che, in realtà, è l’opposto della religiosità evangelica, pur se si nutre di parole del vangelo.
La meditatio è dunque un grandissimo valore da imparare, e magari ci si mette anni per impararla, però deve essere superata, a un certo punto, verso la contemplatio. La meditatio può essere fatta, in qualche maniera, anche da un non credente che si compiace dei valori profondi espressi dalla Scrittura.
CONTEMPLATIO (contemplazione)
Con la contemplatio entriamo nella specifica preghiera cristiana che è “in spirito e verità”. E’ il passaggio dalla considerazione dei valori all’adorazione della persona di Gesù che riassume tutti i valori, li sintetizza, li esprime in sé e li rivela. E’ un momento orante per eccellenza in cui vengono dimenticate proprio le stesse cose che sono state molto utili per stimolare la coscienza. Si adora e si ama Gesù, ci si offre a lui, si chiede perdono, si loda la grandezza di Dio, si intercede per la propria povertà o per il mondo, per la gente, per la Chiesa.
Il centro e il riferimento della contemplatio è sempre la persona di Gesù, rivelatore del Padre. Dal punto di vista più propriamente ontologico o di antropologia soprannaturale, la contemplatio è la disponibilità al dono infuso della carità. L’uomo cioè è nella situazione ideale per accogliere, coscientemente o almeno con piena disponibilità, il dono infuso dì carità, a lasciare vibrare in sé lo Spirito di santità.
La contemplatio è, dunque, in parte esercizio attivo, adorante, amante e in parte esercizio passivo, spazio dato allo Spirito di Cristo perché in noi adori, lodi, glorifichi il Padre. Il dono infuso di carità è germinalmente presente, come sappiamo, in ogni battezzato. Molto spesso però non ha spazio espressivo, uno spazio cioè corporeo, mentale, strutturale: la contemplatio è esattamente il momento in cui si dà spazio corporeo allo Spirito santo. Per questo possiamo anche chiamarla “conversione” dell’uomo che si rivolge totalmente a Dio, che lo sceglie costantemente, attratto da lui, che lo ama con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze elevate soprannaturalmente dallo Spirito.
È veramente il punto culminante delle varie tappe del dinamismo della preghiera ed è la norma, il riferimento delle tappe precedenti. In tanto la lectio è utile, la meditatio è importante, in quanto sfociano nella contemplatio che è vita in senso pieno: è la vita di Cristo che vive in colui che contempla.
Da aggiungere, a questo punto del dinamismo della preghiera, ci sarebbe solo l’esperienza infusa mistica, la percezione cioè cosciente dell’agire di Dio: l’unione con Dio a livelli mistici non è però necessariamente parte dell’organismo ordinario della vita cristiana.
Vorrei, invece, dire qualcosa sul dinamismo esplicativo della contemplatio ed è per questo che ho indicato altri quattro gradini, anche se non sono un passo avanti perché tutto è già avvenuto.
CONSOLATIO (consolazione)
Noi facciamo fatica a determinare questo vocabolo mentre è realtà notissima al Nuovo Testamento. Paolo ne fa un uso molto grande, sia come verbo sia come sostantivo e addirittura lo prevede come un ministero: «Chi ha il ministero della consolazione attenda alla consolazione» (cfr. Romani 12,8).
A noi sembra un sostegno aggiuntivo: il bisogno di essere consolati ci appare quasi un segno di debolezza, e questo è abbastanza strano se pensiamo che lo Spirito santo è qualificato come il Paraclito, il Consolatore.
Che cosa possiamo dunque intendere per “consolatio” come sviluppo ordinario della contemplatio? Possiamo intendere la gioia profonda, intima che viene dall’unione con Dio, il riverbero luminoso, gaudioso della comunione con Lui. Pensiamo alla gioia che vediamo trasparire dagli occhi di persone particolarmente sante, quel non so che di pace, di serenità, di tranquillità anche nella sofferenza. E il gusto del culto di Dio, il rapporto con Dio vissuto con gaudio.
L’uomo giunto alla contemplazione sa che nessuna forza umana gli potrà strappare quella pace che è dono di Dio. Ha molti altri nomi la consolatio: in certi periodi della storia della spiritualità è stata chiamata “fervore” oppure “devozione” (san Francesco di Sales), cioè prontezza gaudiosa e spontanea con cui l’uomo si dona a Dio.
Non dobbiamo perciò trascurare la consolatio. A volte, una certa cultura pseudo-spirituale ci fa credere che ciò che conta è fare il proprio dovere, essere leali e giusti. Ma l’uomo leale e giusto non può non esprimere quella pienezza di sé che è la forza e l’entusiasmo della gioia interiore!
Certo, si tratta di gioia spirituale nascosta nel profondo. Se spesso è velata e oscurata dalle prove, dall’aridità, dalle desolazioni, dalle tentazioni, dalla croce, tuttavia non a questo l’uomo è chiamato. Lo stadio a cui è chiamato è la luminosità di Cristo risorto e la consolazione è luminosità del Cristo risorto diffusa nell’esperienza. Non è fenomeno accessorio, pur se va distinta dai puri stati di entusiasmo naturale.
DISCRETIO (discernimento)
La consolatio pone l’uomo in sintonia mirabile con i valori evangelici. E gusto interiore per Cristo, per l’essere con lui, per la sua povertà, per coloro che sono simili a Gesù nella sofferenza, per la sequela generosa della croce insieme a lui. Le grandi scelte di Cristo, il suo abbandono al Padre, il suo distacco, la sua dedizione all’uomo diventano valori connaturali nel momento della consolatio. Il discernimento è la capacità di scegliere, per interiore connaturalità, secondo e come Cristo. La sua relazione con la meditatio è molto stretta perché la meditatio fa emergere i valori di Gesù e la discretio li fa scegliere. Francesco d’Assisi incontra il lebbroso, vede in lui Cristo e, nell’impulso dello Spirito, lo bacia pieno di gioia, superando una fortissima ripugnanza naturale: è la discretio che gli ha fatto fare la stessa scelta di Gesù.
DELIBERATIO (scelta)
La Deliberatio è l’atto interiore con cui l’uomo si decide per le scelte secondo Cristo e necessariamente sfocia nell’actio.
ACTIO (azione)
L’actio è il modo di vivere e di agire secondo lo Spirito di Cristo, è l’accogliere totalmente dentro di noi la coscienza apostolica, è l’averla integrata in noi stessi, l’aver fatto di questa scelta non soltanto un atto di volontà a cui conformarsi a fatica ma una realtà entrata in noi attraverso il dinamismo della preghiera.
In tal modo la preghiera non è più soltanto un pregare in vista del compiere meglio qualcosa: la preghiera è il fare emergere la scelta, il formare la propria vita a partire dalle scelte evangeliche interiorizzate.
Prima di concludere, desidero ribadire l’importanza della contemplazione senza la quale tutto diventa insipido, diventa esecuzione faticosa di precetti, volontarismo, moralismo. La mancanza di contemplazione ci impedisce di cogliere globalmente i vari aspetti dell’esperienza cristiana e di vivere realmente il “vieni e seguimi” di Gesù. Nella contemplazione l’uomo raggiunge il massimo di chiarezza e di forza, in essa il progetto-uomo si verifica e si va verificando progressivamente, a mano a mano che si integra nelle azioni, nella cultura, nella espressione esteriore della persona.
Il passaggio dalla meditazione alla contemplazione è dunque un momento vitale e determinante dell’esperienza cristiana. Spesso la nostra esperienza cristiana è, al massimo, a livello meditativo, di riflessione, di bei pensieri ma ancora oscura su molti valori del dono di Dio fatto all’uomo. Tale è l’esperienza degli apostoli nel vangelo di Marco che vedono e non capiscono, che hanno occhi e non comprendono. Per questo ci si ritrova incerti, alle prese con continui ripensamenti e con desideri di evasione: perché non si ha come riferimento la contemplazione.
Le domande che possiamo porci, allora, devono essere su come pratichiamo la lectio e la meditatio, ma soprattutto se ci apriamo alla contemplazione, se la consideriamo fondamentale per il nostro cammino di fede.
Io credo che tutti noi abbiamo avuto dei momenti di vera contemplazione, nei quali abbiamo potuto discernere anche la consolazione di Dio. L’invito è a riflettere su tali momenti e a valorizzarli giustamente, secondo i desideri del Signore.
Osservazioni importanti sulla “lectio divina”
Nell’accostarsi alla Bibbia mediante il metodo della lectio divina bisogna evitare il rischio di uno straripamento della lectio al di fuori dell’alveo della tradizione e della Chiesa. Capita infatti spesso che la Scrittura venga usata non semplicemente in funzione critica dei nostri idoli, ma pure in funzione di critica delle istituzioni, di una critica globale e priva di discernimento. Un altro rischio è di asservire il testo sacro a ideologie preesistenti (politiche, sociali, filosofiche), usandolo come prova o appoggio. In questi casi la lettura della Bibbia tende a uscire dal contesto vitale in cui è nata e si è trasmessa.
E, ancora, si rischia di intendere sotto il nome di lectio una qualunque lettura della Bibbia, che sia in qualche modo unita con la preghiera. Non di rado si tende inoltre a fare della “teologia biblica” trattando temi dell’uno e dell’altro Testamento, o si cercano attualizzazioni a partire da un brano scelto a caso o presente nella liturgia. Tutto ciò fa parte della lectio, ma non la definisce nella sua caratteristica più profonda.
Mi sembra quindi utile richiamare alcune parole del padre gesuita Francesco Rossi de Gasperis, in uno stimolante studio (Bibbia ed esercizi spirituali, Torino 1982, 33): «Lectio divina è la lettura continua» – preferisco dire “tendenzialmente” continua – «di tutte le Scritture, in cui ogni libro e ogni sua sezione viene successivamente letta, studiata e meditata, compresa e gustata mediante il contesto di tutta la rivelazione biblica, Antico e Nuovo Testamento. Per questa sua semplice adesione e umile rispetto dell’intero testo biblico, la lectio divina è una prassi di obbedienza totale e incondizionata a Dio che parla, dove l’uomo diventa un attento uditore della Parola (…). La lectio divina non fa una scelta di testi adatti a temi e argomenti già scelti e decisi in precedenza, in vista di bisogni o gusti già sperimentati o avvertiti dal lettore o dalla comunità che legge. Essa non adotta nemmeno il procedimento dei “temi biblici” preferendo invece tenersi al di qua di ogni selezione teologica del messaggio biblico. Essa comincia dalla Parola di Dio e la segue passo passo dal principio alla fine. La lectio divina suppone e prende sul serio l’unità di tutte le Scritture».
Se dunque la lectio divina viene vissuta nel suo dinamismo che, partendo dalle prime tre tappe – lectio, meditatio, contemplatio – si amplia e si apre alla consolatio, discretio, deliberatio e actio, può costituire un formidabile aiuto di fronte all’ attuale sfida del mondo occidentale. Un mondo in cui il mistero di Dio è quasi assente nei segni esteriori della vita e della società, un mondo interiormente arido, che soffoca la coscienza e non fa avvertire nell’esperienza quotidiana il gusto del Dio vero. Soltanto se alimentiamo la nostra fede in un contatto con la Parola, potremo passare indenni attraverso il deserto spirituale dell’Europa moderna.
Pubblicato il 23 Gennaio 2021