RITROVARE SE STESSI

RITROVARE SE STESSI

Si narra nel cap. XXI del “Il Piccolo Principe” dell’incontro e del dialogo tra la volpe e il Principe.

— Buongiorno — disse la volpe.

— Buongiorno — rispose educatamente il piccolo principe che si girò, senza però scorgere nessuno.

— Chi sei? — chiese il piccolo principe. — Sei molto bella…

— Sono una volpe — disse la volpe. — cosa stai cercando?

— Cerco gli uomini — rispose il piccolo principe.

 

Pensando a questo racconto, sono rimasto colpito da un articolo apparso su Avvenire lo scorso 15 aprile, sia per il titolo che per la persona intervistata, apprezzata per alcuni suoi testi illuminanti. L’intervista, di Alice Scajola, è rivolta al famoso sociologo Edgar Morin, una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea. E’ autore di alcuni testi di fondamentale importanza sulla conoscenza, per citarne solo due, ”La testa ben fatta” (Raffaello Cortina ed., 2000) e ”I sette saperi necessari all’educazione del futuro” (Raffaello Cortina ed., 2001).

Alla domanda perentoria ”Pensa che il coronavirus possa segnare per l’umanità una presa di coscienza dell’interdipendenza e comunità di destini di tutti gli esseri umani?”, Morin parla di una triplice crisi: una biologica, una economica e una di civiltà. Una ”crisi esistenziale salutare” la quale ci rivela il ”bisogno di un umanesimo rigenerato, che attinga alle sorgenti dell’etica: la solidarietà e la responsabilità”.

Sostenitore della ”complessità” della storia e degli eventi che in essa accadono, rileva chiaramente che uno dei compiti che ci attende per il futuro è la capacità di affrontare le incertezze. Anzitutto dobbiamo esserne consapevoli. Se ne parla da ormai qualche decennio, e non solo a riguardo della realtà giovanile: il futuro è incerto, imprevedibile. Scrive in ”I sette saperi”: ”Il XX secolo ha scoperto la perdita del futuro, cioè la sua imprevedibilità. L’avvenire resta aperto e imprevedibile” . Annovera alcuni dati storici per indicare questa incertezza e imprevedibilità: ”Chi pensava che…” è l’incipit, per accostare ad esso, di volta in volta, l’evento che ha segnato una radicale modifica della storia dell’intera umanità. Così l’attentato della primavera del 1914 che scatena la grande guerra o la inimmaginabile crisi economica mondiale del 1929 immediatamente successiva alla prosperità del 1927, fino ad eventi all’inizio del terzo millennio (”I sette saperi”, pagg. 81-83).

Non ci è sconosciuto questo linguaggio della complessità (termine che preferisco decisamente, rispetto al concetto di imprevedibilità). «Tutto è in relazione», «tutto è collegato», «tutto è connesso»: questo è il ritornello che attraversa l’Enciclica di papa Francesco sulla cura della casa comune, ”Laudato sii”. E’ una complessità che non ci permette di immaginare una storia che si costruisce sul paradigma causa – effetto perché il percorso è assolutamente non lineare. E neppure a compartimenti stagni. Ogni situazione, ogni azione, ogni scelta si inserisce in un ”contenitore” universale che ci caratterizza tutti e interagisce a più livelli, quello biologico, quello economico, quello spirituale, quello relazionale.…

Ma questa complessità è anche una opportunità: per dirla con Morin ”la storia insegna come a un certo punto tutto sembri crollare… poi da un processo multisecolare scaturisce qualcosa di nuovo” (Avvenire, 15 aprile 2020). Le parole del Santo Padre, alla veglia di preghiera del 27 marzo scorso sono altresì illuminanti: ”La tempesta (complessità? ndr) smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. La tempesta pone allo scoperto … tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità” (per affrontare la complessità, ndr).

Dunque l’opportunità che ci viene ancora data è quella tipica della nostra peculiare umanità: la consapevolezza di ciò che siamo, non solo di ciò che sta accadendo in un contesto di emergenza. Senza togliere nulla alla tragicità del momento presente, siamo chiamati – continua il Papa – a scoprire ”ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.

Morin, rispondendo alla domanda ”Le piace Papa Francesco?” risponde con chiarezza: ”Si certo, pur essendo io agnostico”. Pur astenendosi da dare un giudizio sulla questione del divino, sono colpito dalla conclusione del capitolo V° de ”I sette saperi”: “Il pensiero deve dunque armarsi e agguerrirsi per affrontare l’incertezza… L’abbandono del progresso garantito dalle leggi della Storia non è rinuncia al progresso… La rinuncia al migliore dei mondi non è per nulla la rinuncia a un mondo migliore… Occorre sperare nell’insperato e operare per l’improbabile” (pagg. 94-95).

Già, la speranza. Per chi vuole ritrovare se stesso e, da li partire per ritrovare l’umanità, dentro (e non altrove) la complessità della storia, non può che abbandonare ”il trucco di quegli stereotipi con cui abbiamo mascherato i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine” e operare decisamente a favore di scelte coraggiose, che sappiano ”abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento l’affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. … per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire.” (Papa Francesco, omelia del 27 marzo 2020).

Il cammino per ritrovare se stessi è ancora in corso… (o forse, è appena cominciato?).

 

don Virginio

 

Per la prima volta uomo ha realmente compresso di essere un abitante del pianeta
e forse deve pensare o agire in una nuova prospettiva,
non solo nella prospettiva di individuo, di famiglia o di genere,
di Stato o di gruppi di Stati, ma anche nella prospettiva planetaria.
(Vladimir Vernadskij, 1863-1945, citato in ”I sette saperi”, pag. 63)

 

Pubblicato il 16 Aprile 2020