FINIRA’ prima o poi… e poi? 1/2

FINIRA’ prima o poi… e poi? 1/2

Un minuscolo virus in una città molto lontana della Cina ha scatenato lo sconvolgimento del mondo. L’elettroshock sarà sufficiente per rendere finalmente tutti gli umani consapevoli di una comunità di destino? … è tempo di cambiare strada…. qualsiasi politica deve fondarsi su una concezione dell’uomo, della società e della storia. (E. Morin, Cambiamo strada: le 15 lezioni del coronavirus, [versione Kindle, seconda di copertina], 2020 Raffaello Cortina Editore).

 

Mi sono imbattuto in questo testo di un famoso autore, filosofo e sociologo francese, 99 anni, tuttora vivente, Edgard Morin. Una analisi lucida e penetrante che ripercorre la storia e le sue  ”crisi”, dall’influenza spagnola del ‘22 alla questione ecologica del nostro tempo, cercando di rendere manifeste le 15 lezioni che la pandemia ha dato all’umanità e le sfide che essa stessa suggerisce. Stiamo vivendo una nuova ”ondata”, ci dicono gli scienziati, e questo ci fa paura: un’emozione da vivere – la paura – e da integrare nella vita. Sfidando già fin d’ora questo ”nemico” che sembra non darci tregua.

Quali armi abbiamo per raccogliere la sfida? Come possiamo combatterlo noi, gente comune, senza adeguati strumenti? Come affrontare l’ignoto verso un futuro che desideriamo ”positivo” (nel significato originario di ”buono, bello, vero”) ma che non se ne vedono i contorni?

Questo punto di vista nella lettura della pandemia nel testo di Morin – il binomio ”lezioni” e ”sfide” – mi colpisce e mi attrae. Una lezione è spesso sinonimo di insegnamento, c’è un docente e un allievo. Il primo impartisce la lezione, il secondo apprende. Al termine di questo processo l’allievo deve necessariamente mostrare d’aver compreso la lezione, di possedere l’insegnamento ricevuto, magari dopo aver attraversato ostacoli e incidenti di percorso e così sapersi costruire una ”cassetta degli attrezzi” per affrontare le sfide inedite della vita.

Di fronte alla lezione che la natura ci ha dato – essa è forse il docente migliore che abbiamo ma non ce ne accorgiamo – possiamo scegliere se affrontare la sfida, guardare avanti e impegnarci per migliorare la vita oppure sperando di riprendere a fare ciò che abbiamo sempre fatto. Cambiare è certamente più complesso e faticoso, ci destabilizza, ci ha destabilizzato. Il pericolo di un ritorno al passato – o, peggio, della negazione del presente – ”è accovacciato alla tua porta”. Attraversiamo questa ”lezione” ed accettiamo la sfida di un cambiamento possibile e ancor più necessario.

 

LA SFIDA DEL ”NOI”

Cambiare strada, dice Morin e ”interrogarsi sul proprio stile di vita, sui veri bisogni, sulle proprie aspirazioni” per scoprire e vivere ”l’essenziale dell’esistenza: l’amore e l’amicizia per la nostra piena realizzazione individuale, la comunità e la solidarietà dei nostri Io in un Noi, il destino dell’umanità di cui ciascuno di noi è una particella (E. Morin, cit., cap. 1, par. 1). Dobbiamo prendere coscienza del paradosso per il quale la crescita della nostra potenza va di pari passo con la crescita della nostra debolezza.” (E. Morin, cit., cap. 1, par. 2).

Dunque la prima sfida è ”prendere coscienza”: consapevoli del proprio stile di vita, dei propri desideri, della nostra debolezza, del comune destino, della coscienza di un ”noi” che non può più essere posticipato a un futuro che verrà. E’ urgente che questa consapevolezza venga comunicata, insegnata, testimoniata, trasmessa… ai piccoli e ai giovanissimi. La questione ecologica ci ha un poco risvegliato sull’eredità che consegneremo ai nostri figli e nipoti. La pandemia ci risveglia al compito educativo che deve consegnare ai piccoli e ai giovanissimi una cultura del ”noi”, che si realizza nella prossimità, nella solidarietà, nell’accoglienza.

Anche il Pontefice scorge una sfida da questa situazione: quella del ”noi”. «Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva  da  solo,  che  ci  si  può  salvare  unicamente  insieme.  Per questo ho detto che la tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e  lascia  scoperte  quelle  false  e  superflue  sicurezze  con  cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. […] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli» (Fratelli Tutti, n. 39).

 

LA SFIDA DELLA SOLIDARIETA’

In piena crisi si sono moltiplicati i gesti di solidarietà. La Chiesa, che attraverso la Caritas Italiana risponde quotidianamente ai bisogni delle famiglie attraverso i Centri di Ascolto, anche in questa emergenza ha solcato i sentieri della solidarietà che ha coinvolto tutti, giovani e adulti, per sostenere le innumerevoli situazioni di bisogno, anche quello ”spicciolo”, come la spesa, le medicine, la compagnia… Tutti hanno risposto a una chiamata esistenziale ed emergente come non era mai accaduto prima, almeno nella ”normalità” della vita. Annoveriamo in questa testimonianza di prossimità anche tutte quelle persone – operatori sanitari, volontari, lavoratori comuni, ecc. – che hanno donato energie, tempo e persino la vita. Semplicemente solidali e prossimi nei confronti di chi hanno trovato lungo la loro strada, abbattuto da un brigante di nome Covid-19.

”Le svariate forme di solidarietà apparse durante la prova generale, hanno rivelato, per contrasto, la mancanza di solidarietà in situazioni cosiddette “normali”… Il senso di solidarietà era assopito in ciascuno di noi e si è ridestato nella prova vissuta in comune. Abbiamo assistito a un aumento di atti e di invenzioni solidali… La crisi ha anche stimolato le menti di molti…” (E. Morin, cit., cap. 1, par. 6). E’ proprio della nostra natura umana rispondere al bisogno emergenziale perché in ciascuno di noi è presente questa tensione solidale verso gli altri. Ma è altrettanto vero che la ”cruna dell’ego” ci attrae e ci impedisce a volte di pensare alla solidarietà come a un’azione da vivere e da praticare nel quotidiano, oltre l’emergenza, come stile di vita.

Ma ”le innumerevoli pratiche solidali di questi mesi eccezionali saranno mantenute? Si intensificherà il risveglio della solidarietà non solo verso gli operatori sanitari, ma anche verso gli ultimi? Durante il confinamento, abbiamo potuto prenderci più cura del nostro prossimo… Ciò ha favorito uno sviluppo della vita conviviale, affettiva e poetica? Oppure tutto sarà anestetizzato con la ripresa delle abitudini, reso folkloristico nel ricordo e infine dimenticato in nuove prove e nuove crisi?” (E. Morin, cit., cap. 2, par. 1).

 

LA SFIDA ECOLOGICA

Siamo nel 1972. Il MIT pubblica il ”Rapporto sui limiti dello sviluppo” (più conosciuto come ”il rapporto Meadows”) basato sulla simulazione al computer, che predice le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. In estrema sintesi, le conclusioni del rapporto sono le seguenti: 1) se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale; 2) è possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano (tratto da: wikipedia).

Come è possibile negarlo? Durante il blocco forzato dei trasporti e delle attività industriali l’aria è tornata più pulita, la natura è rinata e ha di nuovo abitato il territorio, seppur trasformato dall’uomo. Abbiamo consumato l’indispensabile, fatto il pane in casa ”come una volta”, con farina e lievito diventati introvabili. ”Saremo di nuovo soggiogati dalla pulsione consumistica, a sua volta stimolata da pubblicità onnipresenti?” (E. Morin, cit., cap. 2, par. 6).

Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione. È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori. «Acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico». Per questo oggi «il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi» (Laudato Si, n. 206).

don Virginio

(continua….)

Scrivo questi pensieri mentre la situazione sanitaria sta galoppando verso una nuova emergenza. Ci ho pensato se era corretto comunicare queste riflessioni ora. Mi sono detto che la sfida va colta ora, prudentemente ma concretamente anche dentro la crisi. Più che mai siamo e dobbiamo essere un “noi” solidale, anche nella semplicità di un rispetto dei comportamenti che ci sembrano obsoleti ma sono gli unici possibili per ora.

 

 

Pubblicato il 20 Ottobre 2020


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