ADO-LUCENTI*… O NO?
”La piccola Lucy […] si era fermata davanti all’armadio chiedendosi cosa contenesse. Certo era chiuso a chiave, ma un tentativo si poteva anche fare; Lucy toccò la maniglia e con sua grande sorpresa la porta si aprì subito”.
Ho scelto questo racconto per introdurre ciò che ha pro-vocato in me l’articolo apparso sul numero di agosto 2020 de ”L’Eco di Rosate”. Ne avevo sentito parlare ma non possedendo più FB non conoscevo i contorni reali della proposta e delle reazioni. Ora ho potuto conoscerla. Ma non è mia intenzione entrare nel merito, né dell’una né delle altre. E’ un altro sguardo, provo a osservare i ”nostri” ragazzi (identificati nel range 13-17 anni) da un altro punto di vista: quello di Lucy.
Ancora non lo sa ma, aprendo quella porta, Lucy sta scendendo nel suo stesso cuore. ”Varcare la soglia dell’armadio significa andare lontano dentro se stessi, farsi vicino alle proprie infinite lontananze”. Non dovrebbe essere questo il compito evolutivo che l’adolescenza riserva? Non è forse entrare in quel mondo – il proprio mondo – fatto di emozioni, desideri, bisogni, urgenze, non ancora decodificato che piacevolmente attrae ma contemporaneamente spaventa?
”Min…. ma che cosa ho, oggi? (si alza e si siede più volte sempre allo stesso posto) Sono sempre agitato… non so stare fermo… cosa mi sta succedendo?”… è un ragazzo di 14 anni, seduto al tavolo dell’oratorio in un pomeriggio infrasettimanale.
Ogni tentativo di dare una risposta-pronta a questo ”sentire”, lo sappiamo, sarà superflua, inutile e fallimentare nella misura in cui questo ”sentire” è, per questo 14enne, l’unico che, nel suo presente, possiede. Ed io, come gli avrei risposto? Quali consigli avrei sfornato, cotti a puntino? Quale risposta mi sarei atteso, dopo avergli dato i miei buoni e convinti suggerimenti? E come avrei reagito se mi avesse ignorato?
Intercettare le domande: prima di tutto le nostre
Quando incontro ragazzi, adolescenti, giovani che cosa mi chiedo? Quale punto di vista orienta il mio sguardo e il mio giudizio sulle loro azioni e relazioni? Giusto-sbagliato, bene-male, obbedienza-trasgressione, autonomia-dipendenza, profondità-superficialità, impegno-disinteresse, cura-inciviltà… sono solo alcune delle molteplici dinamiche che in me emergono nel definire i giovanissimi che ho incrociato negli oratori e sulle piazze, di paesi e grandi città, come Milano. Ne sono consapevole.
E’ chiaro a tutti che il proprio punto di vista è già un primo livello interpretativo della realtà, delle persone e dei loro comportamenti. Mi sembra utile e saggio, anzitutto, scendere in profondità delle nostre domande che sollecitano l’una o l’altra scelta e giudizio, a riguardo dei ragazzi. Da qui devo partire per comprendere che cosa fare, quali azioni progettare a favore (sempre! ma non è poi così scontato) dei ragazzi. Ma – più importante – a favore di che cosa? Anche qui le mie domande: dove voglio condurli? Che cosa desidero ottenere con l’una o l’altra proposta, qualunque esse siano?
Ecco: dopo aver decifrato le mie domande, potrò iniziare ad ascoltare le loro. Ascoltare: secondo il dizionario etimologico è sinonimo di udire (che include attenzione) e sentire (che include gli affetti dell’animo).
Ogni in-contro è sempre uno s-contro
Ho ascoltato e decifrato le domande. Ora può avvenire il con-fronto: ”io” sono posto di fronte a un ”tu” che riconosco, accolgo e con il quale gratuitamente (mai con secondi fini) entro in relazione. Ma l’esperienza ci insegna che ogni in-contro autentico inevitabilmente produce uno s-contro interiore che va decifrato, non temuto. E’ una delle dinamiche che accadono più o meno inconsciamente a ciascuno. Ed è proprio nella coesistenza di ”in” e di ”s” che avviene la crescita, che un fanciullo diventa ragazzo, poi adolescente, giovane e adulto.
Forse hanno bisogno di qualcuno con cui confrontarsi e scontrarsi, anche se apparentemente lo rifiutano, rivendicando la propria autonomia assoluta. E rivisitando i miei incontri e scontri sostenuti (non è importante perdere o vincere ma esserci), mi rendo consapevole del bisogno di persone che assumano questo compito di equilibrio… lasciandosi ”scontrare” senza paura. Per aiutare a crescere. Perché crescere non accade automaticamente ma è insieme il frutto di libere scelte, scaturite da molteplici scontri e incontri.
Per fare un bambino ci vuole un villaggio
La saggezza africana ci colpisce ma ce la dimentichiamo subito. I ragazzi del carcere minorile di Milano, accompagnati da don Claudio Burgio, ci hanno proposto il loro spettacolo ”Non esistono ragazzi cattivi”; lo psicologo dell’età evolutiva, dott. Ezio Aceti, ci ha dato dei criteri per interpretare la ”buona educazione”; il dott. Ivano Zoppi, presidente della società cooperativa Pepita, ci ha aiutato a comprendere e a ”prevenire il fenomeno del cyber-bullismo”… correva l’anno 2019. E non solo questi, molti altri hanno preceduto e seguito. E poi?
Non siamo ingenui: sappiamo che l’educazione non è una formula matematica. Non bastano infiniti esperti a indicarci la teoria, senza una pratica ”sul campo”. E quest’ultima non può nemmeno essere un’infinita sequenza di ”azione-reazione-azione”. ”Non c’è cammino. Il cammino si fa nell’andare”. Tradotto: un cammino ci deve essere anche se non è pre-scritto.
Questi ragazzi – tutti – sono transitati in luoghi aggregativi diversi, istituzionali e spontanei, strutturati e a ”bassa soglia”, pubblici e privati. E’ possibile immaginare un soggetto collettivo, un ”noi” educativo, che semplicemente pensa percorsi possibili oltre le emergenze ricorsive? Non immediatamente ”operativo”; non si tratta di fare per forza qualcosa ma creare una condivisione di prospettive, una unità di intenti e, dopo, una unità di azioni condivise. E’ possibile immaginare queste azioni condivise soprattutto nella preadolescenza, nel tempo in cui l’aggregazione sul territorio resiste alla dispersione dell’adolescenza?
Aggregazione: stabile o itinerante?
Chi vive si incontra. Inevitabile. Ogni aggregazione umana però deve sempre contemplare regole di ingaggio, perché la nostra diabolica ”cruna dell’ego” si insinua in ogni pertugio e contribuisce a infettare anche i più nobili e profondi legami.
Parlando di giovani, le esperienze non si contano: educativa di strada, educazione dei pari, centri di aggregazione… (conosco queste opportunità ma ce ne saranno sicuramente altre). Tutte prevedono la creazione di buone relazioni, alcune prevedono luoghi di riferimento, altre sono più sbilanciate nella strada. E poi si pensa insieme, per attivare progetti condivisi con i ragazzi. E se l’aggregazione non fosse principalmente legata a un ”centro” ma fosse principalmente itinerante e relazionale, con i propri tempi (la notte), i propri luoghi (la strada)? A quali criteri è possibile – se è possibile – una siffatta azione?
Mi sono fatto molte domande… mi accorgo di non avere risposte. Permettetemi, in conclusione, una citazione. La richiesta della ”vita eterna” non può accontentarsi della staticità dei comandamenti, per quanto nobili possano essere: ”non uccidere, non rubare, onora il padre e la madre”. Essa deve fare i conti con un movimento dinamico, che chiede molto ma è il solo che può far crescere: “una cosa sola ti manca: va’… vendi… vieni… e seguimi” (è il Vangelo di Marco, al capitolo 10). Esperienza di un incontro autentico. Perché voluto.
don Virginio
*prendo in prestito l’espressione “ado-lucenti” dalla FOM, quando nel periodo del lockdown, interagiva con i ragazzi adolescenti attraverso questa rubrica
Pubblicato il 8 Ottobre 2020